La produzione del pittore Salvatore Di Marca è
caratterizzata dalla presenza cromatica di forti colori dominanti
che esprimono la violenza delle emozioni e dei sentimenti uniti
alla ragione esploratrice. I colori accesi, le forti tinte, il
pennello guizzante che delinea tratti e figure esplora i miti
universali e ricrea come per incanto, attraverso e mediante la
fantasia e l'immaginazione, suoni, profumi, odori ancestrali.
Sono i profumi delle zagare, degli olivi secolari, dei gelsomini,
dei papaveri, delle ginestre, dei fichi d'india, dei carrubbi
che si rispecchiano nel dedalo delle teste di Filippo Bentivegna
che a loro volta si perdono nell'azzurro del cielo e nel profondo
blù del mare.
La produzione artistica prende il via dalle sensazioni ed emozioni
suscitate dal paesaggio e dall'arte di ricreare in terra quello
che simboleggia il cosmo intero, inteso anche come ordine precostituito
del creato, armonia e bellezza interiore, perché le teste
di Filippo Bentivegna sono le infinite stelle che punteggiano
e scintillano nell'universo in una eco di rimandi. C'è
un rapporto di biunivocità, di complementarietà
e di specularità tra sacro profano, tra terreno ed ultraterreno
perché anche la più piccola lucertola rispecchia
un'orologio che batte e che fa battere simultaneamente cuore e
pensiero che si estrinseca nel logos di ognuna delle 'Teste'.
Il lavoro di Salvatore Di Marca è inserito in un progetto
unitario, ambizioso dove ogni tassello è legato all'altro
in un disegno ben preciso e non a caso. E' l'identità in
cui l'intuizione, vedendo il contenuto, comincia a trarlo fuori
di sé, il progetto in cui il logos costruisce all'interno
-e potenzialmente- un'infinità di immagini dove espressione
e segno -in questo momento interiorizzante- tengono aperta la
differenza. La tessitura segnica dello spirito e il pensiero come
logos e come linguaggio, si evolvono come un gomitolo di Arianna
nei diciannove dipinti che hanno un unico filo conduttore seguendo
un itinerario di immagini e parole il cui contenuto è conservato
e passa muovendosi nei segni, nelle citazioni degli artisti, reinterpretate
quale nucleo fondamentale e sempre presente nella memoria collettiva.
Il Discorso dell'itinerario dei quadri di Di Marca articola il
logos artistico nella sua valenza ontologica di "legame",
il principio accomunante e universale che raccoglie e riconduce
il sé, di un intero non come unità semplice esclusiva
di ogni differenza ma come totalità capace di ricondurre
a sé i diversi percorsi ermeneutici.
Di Marca, alla maniera di Socrate, segue il discorso dell'anima,
il suo movimento immortale nella pittura di un logos in cui ogni
testo e ogni scritto è immagine. Non a caso la produzione
pittorica si intreccia con l'arte della scultura di Filippo Bentivegna
per investigare le potenzialità che nascono dalla permeabilità
dello storicismo dell'arte come interpretazione del suo passato.
Nei quadri di Di Marca vengono rappresentati il cammino interiore
di Filippo Bentivegna, l'amore per la sua terra, l'esperienza
di un'isola unica al mondo per le sue tradizioni e il suo passato,
dal tronco d'albero siciliano scolpito nascono volti che dalla
radice nutrita dai frutti delle piante si reincarnano. Il suolo
arso e nudo di pietra diventa miniera d'oro dove si forgiano enigmatiche
teste sfaccettate, dove dietro ogni volto si nasconde una storia,
un passato da decifrare. Filippo scolpendo freneticamente diventa
procreatore assumendosene la responsabilità, novello Geppetto,
e il ruolo di padre di future -e passate- generazioni.
Alla base c'è un istinto primordiale connaturato alla creazione
di diffondere la propria 'semenza' la propria prole come espresso
nella "Grotta dell'Incanto", dove nella scena d'amore,
nell'angolo più buio e nascosto, nella più recondita
psiche dell'uomo , nella più profonda terra c'è
la semenza dell'uomo in un'antitesi di oscurità e di luce.
La circolarità del pensiero e la riappropriazione delle
strutture ludiche dell'immaginario vengono espresse in Di Marca
nell'Opera dei Pupi dove le 'Teste si trasformano in Pupi siciliani
riuniti in Gran Consiglio e con i Pupi la nostra storia, le nostre
gesta,il nostro passato in un'identità narrativa circolare
che dai testi ripropone, in chiave analitica ed esistenziale,
la memoria di sé e dell'altro come sé stesso.
In 'Sirene' la città descritta senza Spazio e Tempo é
una città immaginaria senza spazi delimitati dove i pesci
fluttuano nell'aria, dove ognuno è libero di andare senza
confini mentali e fisici. La città di Sciacca è
un grande acquario con pesci esotici e del Mediterraneo a sottolineare
l'incontro di culture diverse perché Sciacca è ad
un crocevia nel passaggio del Mediterraneo e questo si riflette
sulla sua storia e i suoi abitanti.
Sotto le fronde dei carrubbi, da un lato Di Marca dipinge, dall'altro
Filippo scolpisce i totem, ricordo di un viaggio nella terra degli
indiani, e le Teste, simboli di viaggio in un dedalo delle menti,
nel periplo dei segni dove egli, dio creatore, grazie al suo scettro
- la Chiave dell'Incanto -, ha scoperto la chiave ermeneutica
per interpretare il mondo e ricrearlo traendo forza dalla terra
e dalla pietra, dagli elementi naturali, superando le aporie del
tempo fenomenologico e cosmologico in un'identità narrativa
dell'arte come, appunto, "Chiave dell'Incanto". Una
Chiave che apre al sogno dove i gelsomini profumati si trasformano
in tante stelle, e le stelle si materializzano in tante teste,
tra il frinir delle cicale e dei grilli, fra il gemito degli ulivi,
tra le spighe dorate e gravide flesse al vento, tra il mare popolat